Eppure c’erano quei tempi così, quei momenti in cui non ti importava di niente, te la vivevi com’era. E era ganza, ti ricordi? Con una sana sfacciataggine, la mente ai sogni, alla vita che verrà. E che importa se gli altri non ci capiranno, ci siamo noi, oppure va bene anche da soli.
Quando abbiamo incominciato a perdere quella poesia? Romanticismo malinconico di chi guarda sempre da un’altra parte e ascolta i consigli come echi lontani. Quando è stato che abbiamo barattato tutto questo con le convenzioni, con l’etichetta, con il marketing? Quando abbiamo incominciato ad essere tutti in cura, tutti sbagliati o tutti vincenti? Quando abbiamo incominciato a pensare che la famiglia e un buon lavoro fossero la scelta più ovvia, quella matura, quella che conta? Forse lo sono, di sicuro.
Forse, ma non trovo più quello sguardo di chi pensa con la propria testa, di chi ascolta curioso la storia degli altri. Non vedo più chi ha il tempo di fermarsi un altro po’, tanto cala la sera, o di svegliarsi un po’ più presto perché fuori c’è il sole e a lavorare non ci vado, andiamo in montagna.
Sarà l’immagine dei miei anni ottanta, quella delle foto sbiadite dai colori caldi e le linee sfuocate, che facevano sognare quello stile un po’ così, di chi se ne frega o di chi ancora spera.